Ricordiamo Anna Politkovskaja con un estratto dal suo libro
"Cecenia il disonore russo"
"Cecenia il disonore russo"
Sul tavolo un
orologio meccanico scandisce il suo tic-tac. È carico, conta solo le ore a
venire. L'uomo, comprendendo le regole che governano l'orologio, lo carica ogni
mattina, in modo che il tempo non si fermi mai. Ma l'uomo è un essere strano.
Si preoccupa molto delle lancette che gli indicano l'ora, ma riflette poco sul
tempo.
Nel settembre del
1999 Vladimir Putin, dopo aver "ricaricato" un po' l'orologio e aver
recitato con la gente la parte dell'antiterrorista, scatena in Russia la
seconda guerra cecena. È così che Putin è riuscito a mandare indietro il tempo.
Ben presto, insieme alla seconda guerra cecena, si è scatenata in Russia una
nuova guerra, questa volta intestina.
Oggi le nostre
lancette girano solo all'indietro. La nuova guerra civile non è stata
dichiarata contro un unico popolo del territorio russo, ma contro tutti. Ognuno
ci mette un pò del suo. La guerra lascia la sua impronta in ogni città, ogni
regione, ogni repubblica. Ha invaso tutto e tutti vi partecipano, neanche
l'autrice di questo libro sfugge alla regola.
In che epoca viviamo?
Cos'è questa nuova guerra? Quale ritmo imprime alla nostra società? Chi siamo
noi, cittadini russi dell'inizio del ventunesimo secolo? Noi? Noi siamo pronti
a scannarci per ogni parola che non ci piace. Siamo intolleranti e
intransigenti. Noi?
Noi, molto
semplicemente, abbiamo ricominciato a mettere in circolazione concetti gravi
come quello di "nemico del popolo", e affibbiamo questa etichetta a
tutti quelli che non la pensano come la maggioranza, senza alcuna distinzione.
Noi? Noi abbiamo riconosciuto che una pallottola in testa è il mezzo più
semplice e più naturale per risolvere qualunque conflitto, per minimo che sia.
Noi? Noi, inariditi dalla guerra, odiamo più spesso di
quanto non amiamo. L'odio è la nostra preghiera. Stringiamo i pugni volentieri,
ma abbiamo difficoltà a riaprire le mani. E ancora una volta, invece di
respirare l'aria a pieni polmoni, ci nutriamo del sangue dei nostri compatrioti
senza battere ciglio. Non è forse guerra civile, questa?
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