13 gennaio 2009

Da un'amica palestinese: Frammenti da Khan Younis



Riceviamo da Anna Valente Donna in Nero di Torino la traduzione della lettera di Majeda, un'amica palestinese di Gaza instancabile attivista che lavora da anni per l'Associazione culturale e per il libero pensiero di Khan Younis, un'associazione che si occupa da anni di bambine/i traumatizzati e non, che accoglie adolescenti e donne e mantiene la propria indipendenza pur basandosi sui finanziamenti stranieri. La libertà di pensiero e l'indipendenza le ha attirato anche le ire degli integralisti locali che hanno più volte chiuso il centro o portato via le strumentazioni ma non per questo Majeda e le altre hanno desistito appoggiate da tutte noi.


Frammenti da Khan Younis

27 Dicembre 2008
Ho una forte sensazione che gli israeliani vogliano attaccare nelle vacanze di Natale. So, nel profondo del cuore, che né i governi dell’Unione Europea né gli USA si preoccuperanno molto di reagire. Ma so anche che gli israeliani calcoleranno di commettere i loro massacri quando hanno più tempo.
Ma non avevo immaginato neppure per un secondo che sarebbe stato così. Intorno alle 11 o 11:30, ho sentito come un terremoto colpire Khan Younis con boati che non avevo mai, mai sentito prima - neppure quando le forze di occupazione israeliane hanno usato bombe suono alcuni anni fa.
La prima cosa che mi è venuta in mente è stata mia madre, le mie sorelle e i bambini della scuola e dell’asilo. Ero al piano di sopra e mi affrettavo per fare una doccia calda - avevo fatto docce fredde per oltre una settimana perché non c’era abbastanza sole per scaldare l’acqua e non avevamo elettricità in ore decenti, o energia decente per scaldare a sufficienza l’acqua per i miei lussuriosi 5 minuti di doccia!
Sono corsa giù dalle scale, più veloce del suono che avevo sentito. Ho guardato negli occhi mia sorella, ho guardato negli occhi mia madre, e, in un attimo, sono corsa giù dalle scale nel giardino per andare a prendere i bambini dall’asilo e dalla scuola... Mio nipote di sei anni aveva gli esami, perciò era tornato presto dalla scuola. Gli altri due erano sulla porta. Il nostro vicino era in città, così li aveva portati con il proprio figlio.
I bambini erano spaventati e parlavano del terribile rumore che non capivano. Wael, il mio nipote di 4 anni non capiva niente - non sapeva nemmeno dell’esistenza di Israele.
Adesso lo sapeva. Tutti loro lo sapevano.
L’intera famiglia non sapeva che fare, così tutti ci siamo radunati nel giardino. L’ultima volta che gli israeliani avevano attaccato, le finestre erano andate in frantumi sulle nostre teste, e alcune porte si erano rotte. Questa volta il bombardamento è più intenso, così la migliore soluzione sembra essere quella di stare fuori all’aperto.
Tutto ciò e il rumore delle bombe continua, c’è fumo intorno a noi ovunque e l’odore del bombardamento sta inquinando la nostra vita ancora una volta.
Ho cercato per più di un’ora di chiamare mio fratello e la sua famiglia a Gaza city per sapere se era salvo. I telefoni fissi e mobili erano fuori servizio!
Dopo un’ora siamo riuscite a contattare uno di loro - mio nipote Azzam, che lavora per le Nazioni Unite. Mi ha detto che era al sicuro in uno dei rifugi nell’area delle Nazioni Unite di Gaza. Era la prima volta che sentivo dell’esistenza di questi rifugi a Gaza!
Dopo due ore i messaggi di testo (sms) cominciarono ad essere distribuiti e avemmo risposte da tutti che erano salvi MA... ognuno/a aveva la sua storia da raccontare su questo terremoto prodotto dall’uomo.
Più tardi abbiamo scoperto che il bombardamento era iniziato nello stesso momento in tutta la Striscia di Gaza. Come siamo fortunate io e la mia famiglia perché non siamo nel conteggio delle persone uccise nei primi 5 minuti dell’attacco! Siamo fortunati, veramente!!!

Negli ultimi 20 giorni non abbiamo avuto gas per cucinare. Il mese scorso mia cugina ci ha dato i suoi 6 Kg extra da usare. Stamattina, il Sabato Nero, il 27 dicembre 2008, siamo riuscite ad avere un po’ di gas per cucinare al mercato nero, che io ho cercato di evitare per tutta la vita. Ho riempito la bombola nostra e quella di mia cugina, ho pagato quattro volte il prezzo, ma non avevo scelta.
Alle 5 del pomeriggio mi è parso che fosse sicuro portare la bombola di gas a casa di mia cugina perché il bombardamento era terminato. La casa dista da noi solo 5 minuti di automobile. I bambini insistevano per venire e iniziavano a piangere , così li ho portati con me. Abbiamo girato in auto intorno alla casa e ci siamo immessi nella strada da dietro. Ma allo mi sono ricordata che lì c’era una stazione di polizia, così ho pensato fosse meglio prendere l’altra strada. Sono tornata indietro e ho preso l’altra strada per trovarmi di fronte un aereo che bombardava un’auto.
I bambini hanno visto le fiamme e sentito il rumore. Erano così spaventati. Gli ho detto che si trattava dei fuochi d’artificio per Capodanno.
Non potevamo tornare a casa perché stava passando il funerale del nostro vicino e la strada era piena di gente e di automobili, così ho deciso di proseguire. Abbiamo dato la bombola a mia cugina e sulla strada del ritorno c’è stata un’altra forte esplosione, questa a uno dei posti di polizia della città.
Ci siamo lasciati dietro i fuochi artificiali e siamo andati a casa.
Mia madre ci ha detto che gli israeliani avevano appena bombardato Asda'a Media City, la nuova area d’intrattenimento nell’ex colonia israeliana, al limite di Khan Younis. Arslan, il mio nipote di 5 anni, è furioso. Arslan, come tutti gli altri bambini, ama questo posto perché ci sono pesci, un piccolo zoo, un piccolo campo da gioco e un ristorante. Piange e piange. Non posso promettergli niente: “Sono sicura che troveremo un altro posto più bello...”
Ci siamo assicurate che i bambini si addormentassero tra di noi prima di portarli di sopra a letto, affinché potessero in qualche modo sentirsi al sicuro.
Non ho potuto dormire tutta la notte, ascoltando il bombardamento, chiamando amici e parenti per assicurarmi che stessero bene, ascoltando la radio perché non c’era l’elettricità per guardare la tv e imprecando contro di me per essere stata così stupida da portare i bambini fuori casa!!! Non so se sono io così insensibile, o gli israeliani, o il mondo!!! Non è saggio portare fuori i bambini? Certo che lo è... Ma non a Gaza. Non adesso. E neanche in altri momenti...
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28 Dicembre 2008
Al mattino Wael si sveglia e viene da me a mostrarmi il dito che è gonfiato. “Guarda, è stato il bombardamento e l’attacco aereo!”
“Quando?” chiedo.
“La notte scorsa, mentre dormivo, mi hanno colpito.”
“Dici bugie,” gli dico.
Sorride e dice:“Anche tu dici bugie...”!!!

31 Dicembre 2008
Ieri ho chiamato la mia amica Wafa, che vive a Gaza City, nella zona di Tel Al-Hawa, per sapere sue notizie. Sta bene e sono una famiglia fortunata, come mi ha detto. Perché sabato, quando è iniziato il primo bombardamento sulla Striscia di Gaza, aveva tutte le porte e le finestre aperte perché stava pulendo e sistemando il suo alloggio.
Non si è rotta nessuna finestra e nessuna porta, contrariamente a quelle dei suoi vicini, che ora cercano rifugio nel suo alloggio al secondo piano.
Wafa mi ha detto che dopo le 7 di sera tutti i vicini si sono radunati nel suo piccolo appartamento, gli uomini in una stanza e le donne nell’altra. Potevo sentire i pianti dei bambini e voci ansiose provenire dalla linea telefonica.
“Mira mia figlia è l’unica che è spaventata,” mi ha detto Wafa. “Ti ricordi di lei, vero?”
“Ho pensato che se la portavo fuori a vedere la realtà di Gaza forse poteva essere meno spaventata, perché stiamo vivendo la stessa condizione e sono certa che stiamo meglio di altri. Così l’ho portata fuori per una passeggiata nelle vicinanze. Vorrei non averlo fatto!”
“Quando ho visto quello che ho visto, mi sono spaventata anch’io,” mi ha spiegato Wafa. “Avrei voluto bendarle gli occhi e correre a casa. Mi sono insultata per averla portata fuori dall’appartamento. Ma non avrei mai immaginato che Gaza potesse diventare una città fantasma in meno di un giorno! Se tu vedessi la nostra zona non la riconosceresti.”
Wafa ha aggiunto istericamente:”Lo sai, Majeda, stiamo tutti bene. Veramente. Il nostro solo problema è che non abbiamo elettricità dal primo giorno dei bombardamenti. Da allora io faccio l’impasto del pane e lo mando ai miei vicini nell’edificio a fianco per farlo cuocere. Loro hanno un generatore, grazie a dio!”
“Per essere onesta, il pane, il freddo, i palazzi e tutto il resto non sono il nostro problema, oggi,” mi ha detto Wafa. “Il nostro vero problema è che abbiamo questo razzo inesploso davanti al palazzo.”
“Che razzo?”
“Il razzo F16. Abbiamo chiamato parecchie persone ma nessuno può farci niente, temono che possa esplodere o che l’F16 li colpisca se si avvicinano.”
“Vuoi dire che è ancora davanti al vostro palazzo?!”
“No, non proprio davanti adesso. La Protezione Civile è venuta e gli ha legato una corda intorno e l’ha smosso verso la strada”.
“Gli hanno messo sopra della sabbia perché nessun bambino o persona si ferisca.”

4 Gennaio 2009
Ieri è stato il giorno più orribile che io abbia mai vissuto. Mia madre ha detto che neppure nella guerra del 1967 era così brutto. Niente elettricità, pochissima acqua, gelo, e ancora più orribile è stato il freddo accompagnato dall’orchestra dal vivo della guerra.
Bombardamenti dai carri armati dell’incursione via terra, bombardamenti degli F16, il drone che gira in cerchio giorno e notte senza fermarsi, facendo quel rumore irritante come se avessi un’ape proprio sul lobo dell’orecchio. E in aggiunta a tutto ciò, il rumore del bombardamento dal mare.
Melodia di guerra, voglio chiamarla.
In questo modo posso rispondere alle domande di Wael. Ha cominciato a chiedere: Cosa è la guerra? Perché c’è la guerra? Chi ha cominciato la guerra? Perché c’è la guerra?
Forse se aggiungo la parola melodia, chiederà che cosa è una melodia...
Sfortunatamente, Wael non chiede della melodia. Invece continua a chiedere: Perché il pilota vuole uccidere gli uccelli? Perché il pilota odia gli uccelli? Forse non sa che hanno una vita come noi... Sono scioccata dalla sua domanda: “Forse non sa che gli uccelli hanno una vita.”
Dico a Wael di rientrare perché fuori fa un freddo gelido. I suoi uccelli non sono più in cielo. “Vieni a giocare il gioco dell’Alaska!”
“Cos’è l’Alaska?”
“È un nuovo gioco che giocheremo tutti con la nonna. Ognuno/a di noi ha la propria coperta per coprirsi tutto il corpo dalla testa ai piedi.”
Non so se stavamo cercando di scaldarci o di nasconderci dal bombardamento... Qualunque cosa fosse, stavamo meglio perché non c’era elettricità né uccelli nel cielo a confortarci.
“Ok, Wael, sei il capo dello stato dell’Alaska, e noi siamo il popolo dell’Alaska. Che cosa ci ordini?” dissi per incominciare il gioco...

“Vi ordino di andare al negozio e comprarmi un aeroplano, una gabbia e dei semi,” ha detto, succhiandosi il pollice.
“Perché?” ho chiesto. “Devi spiegarmelo.”
“Voglio volare su, su, su - finché raggiungo dio!
Prenderò tutti i miei uccelli,
e li metterò in una gabbia.
Volerò di nuovo,
prenderò il pilota.
Lo porterò qui
e gli darò i semi per nutrire gli uccelli.”
Guardo Wael mentre il bombardamento continua, è abbastanza ansioso.
... E penso che il gioco dell’Alaska può fornire qualche idea creativa per scaldarci il corpo e un po’ di vita sotto questo bombardamento.

Sfortunatamente, non era un’idea molto furba. Così ho semplicemente obbedito all’ordine di mia madre: ci siamo messi tutti più vicini e abbiamo creato una rete di abbracci che ha veramente portato calore alle nostre vite e un po’ di sicurezza.
Abbiamo continuato ad ascoltare la melodia che arrivava da fuori e abbiamo cominciato a contare le esplosioni delle bombe; 1, 2, 3, ... 28, ... 32 .... i bambini non sapevano contare oltre 50, così abbiamo smesso.
Dobbiamo tenere porte e finestre aperte perché il bombardamento degli F16 può frantumare i vetri di porte e finestre. è già successo, nel marzo 2008, quando hanno colpito il palazzo di fronte a noi. Ma allora il vetro era disponibile al mercato. Questa volta non c’è niente, il che significa che dobbiamo passare l’inverno senza vetri per porte e finestre. Stiamo attenti ai cambiamenti e scegliamo di aprire porte e finestre.

5 lunghissime ore sono passate e la situazione è sempre la stessa. Il solo cambiamento che cogliamo è un ulteriore suono aggiunto all’orchestra: le sirene delle ambulanze che vanno su e giù.
Ho chiesto ai bambini di dormire al primo piano con tutti noi. Wael si è rifiutato. Continua a dire: dormirò nel mio letto, perché se non lo faccio il pilota colpirà il nostro alloggio.
Ho provato a convincerlo che se stavamo tutti insieme saremmo stati più caldi. Alla fine ha acconsentito. Ma poi ha cominciato a chiedere di andare di sopra a controllare il suo letto, la sua stanza, i suoi giocattoli, la sua cartella. Alla fine sembra più sicuro lasciare che stia in un luogo unico, così la sua famiglia va di sopra, anche se fa più freddo ed è più pericoloso.
Dopo che tutti sono andati a dormire, è tornata l’elettricità. Sono almeno 24 ore che siamo senza elettricità. Ho cercato di trarne il massimo vantaggio. Prima cosa: una doccia calda. Ma sfortunatamente, non ha funzionato perché non c’era abbastanza potenza per scaldare l’acqua. Così mi sono seduta al computer, ho finito qualche lavoro che dovevo completare, ho scritto email ad amiche e famiglie fuori della Palestina per provare a confortarle e assicurare che siamo sopravvissuti ancora un giorno sotto questa guerra su Gaza.

5 Gennaio 2009
Proprio prima di andare a letto Wael dice: “In realtà, mi piace la guerra.”
Gli chiedo perché
“Perché non devo lavarmi la faccia e le mani. Non devo lavarmi la faccia e le mani con questo freddo. E non devo andare all’asilo di mattina.”
“Ma non sei capace di contare le bombe... se non vai all’asilo, perché sai contare solo fino a 50.”
“Non mi piace contare le bombe, comunque,” mi risponde e sale le scale.
Capisco quanto sono stupida a far contare le bombe a questo ragazzino. Sono così arrabbiata con me stessa.

Wael torna indietro e dice: “Ti voglio chiedere: se un bambino e suo padre sono fatti di ferro, il razzo li colpisce?”
“Si,” rispondo.
“E se sono fatti di legno?”
“Si,” rispondo.
“E se sono fatti di albero?”
Improvvisamente mi rendo conto che devo dire no, perché possa dormire..

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