7 agosto 2009

Ogni sei ore una donna indiana viene picchiata a morte



Dall'UNITA' del 6 agosto
India, giusto che le suocere picchino le nuore
di ma.m.

Non è crudeltà prendere a calci la propria nuora, non è colpa, non è reato. Che nell’altra faccia dell’India tecnologica e in rincorsa ci fosse un universo femminile calpestato in nome di vecchie usanze e tradizioni non è una novità. Ma a dare via libera alle violenze domestiche stavolta è la Suprema Corte indiana, tirando le somme in coda ad una serie di appelli di nuore, mariti e suocere. Beghe di famiglia, storie piccole così da non sprecarci una riga sui giornali: un mondo di sofferenze tra le pareti di casa, un inferno che in India è più vero che altrove.

Dunque è giusto, per legge, schiaffeggiare la nuora, prenderla a calci, rimproverarla con asprezza, lasciarle solo vestiti usati. E anche riprendersi i regali fatti nel giorno del matrimonio. La Corte riconosce alle suocere il compito di educare le nuore, i mezzi valgono il fine. Un pranzo malcucinato, la casa non rassettata abbastanza, un figlio maschio che non arriva: tutto è un errore, tutto si paga.

E le prime a soffiare sulle braci del malcontento dello sposo sono quelle che fino a ieri hanno subito lo stesso trattamento: poco più che serve in casa del marito, sotto l’autorità dei genitori di lui. Al suocero si consegna lo stipendio, lui amministra e dispone. Alla suocera si consegna la propria vita, è lei a decidere della vita familiare, anche quando la nuora non è più una ragazzina.
Spose in matrimoni combinati, specialmente negli strati sociali più bassi. Spose che hanno il dovere di portare una dote - dovere non codificato dalle leggi ma radicato nella società - e quando questa non arriva, o è inferiore alle aspettative, finiscono per perdere ogni diritto. Anche quello di vivere.

Non si conta il numero di incidenti domestici che ogni anno cancellano 20-25.000 donne in India. Un fornello che non funziona, il fuoco che divora la stoffa leggera del sari e lascia sfigurate o peggio. Stime un po’ datate - perché è difficile segnare un confine tra il dolo e la fatalità - scandiscono l’orologio della violenza: ogni sei ore una donna indiana viene picchiata a morte, arsa viva o decide di mettere lei stessa la parola fine ad un’esistenza fatta di quotidiane angherie. Botte, vessazioni, acido gettato in faccia per vendicarsi o rimettere in riga la sposa ribelle. Morti invisibili, che raramente arrivano sui giornali.

Mettere al mondo una bambina è una disgrazia per la famiglia che un giorno dovrà indebitarsi per procurarle una dote. Gli aborti selettivi sono consuetudine, le madri di figlie femmine hanno un dolore in più. Come Mamta Mali, il suo caso qualche anno fa fece parlare. Si gettò in un pozzo con le tre figlie piccolissime, perché non ne poteva più dei rimproveri della suocera complice del marito: volevano il ventilatore e la tv che avrebbe dovuto portare in dote, la torturavano per quelle bambine. Se le è portate via con sé, per risparmiar loro una vita come la sua.

La legge proibisce dal 1961 l’estorsione sulla dote, come vieta alla vedove di immolarsi sulla pira del marito. La realtà non ha però lo stesso rigore delle norme, soprattutto nelle zone rurali o tra gli strati sociali più poveri. E le donne sono le prime a credere che sia giusto essere punite - il 56% - se hanno sbagliato a preparare un piatto o hanno trascurato i loro doveri familiari. Che sono interminabili - come spesso accade anche ad altre latitudini alle donne su cui ricade la cura di generazioni intere, dai neonati ai nonni. E ora la Suprema Corte dice che è tutto giusto - non uccidere certo, ma appena meno. Le suocere hanno ragione, le nuore si mettano in riga: il mondo non funzionerebbe se alzassero la testa.
05 agosto 2009

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