Il 1° maggio, nella manifestazione organizzata come ogni anno dai sindacati, c’eravamo noi DIN in una piazza annichilita e priva di messaggi politici, con il nostro volantino, unico strumento di analisi politica presente.
La situazione non è certo migliorata, spirano venti di ulteriore stretta autoritaria, di compressione delle libertà di stampa e indagine, di gerarchizzazione diffusa in tutti i luoghi, in particolare in quelli della socialità.
Si cerca di normalizzare con la presenza degli “attori della sicurezza”, dalle forze dell’ordine alle ronde, mentre la propaganda della supposta “accresciuta insicurezza” si nutre della criminalizzazione di rom, migranti e prostitute, tingendosi di episodi di ordinario razzismo, a cui è necessario rispondere con forme di resistenza non violenta.
Assistiamo anche a un più esplicito tentativo di controllo del corpo delle donne attraverso la negazione della loro autodeterminazione. Si considera scandaloso l’esercizio della libertà di scelta individuale e viene rimarcata l’eccessiva libertà di accesso a una sessualità “senza regole” contrapposta alla “cultura della famiglia”, in realtà strumento di controllo sociale..
Questa tendenza così pervasiva nella società s’innesta e s’intreccia molto bene con l’attivismo della chiesa sui temi etici.
In questo clima di oppressione si sta affermando per fortuna un sempre più vasto movimento di donne e lesbiche e l’assemblea contro la violenza maschile sulle donne del 14-15 giugno a Bologna ne è stata conferma.
Come ci dicono da tempo le Donne in Nero dei Balcani, non bisogna sottovalutare i segni premonitori di una militarizzazione crescente che potrebbe essere accompagnata dall’affermarsi di forme di “paramilitarizzazione” parallela che ricordano la Colombia, come alcuni hanno fatto rilevare, salvo che qui non c’è conflitto armato.
Si tratta allora di nuove “prove di regime”, come fu a Genova?
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