25 gennaio 2010

Ricordiamo tre stimate e amate femministe e attiviste per i diritti delle donne di Haiti vittime del terremoto.

Myriam Merlet

dirigente dello staff del Ministero per le Donne di Haiti, è morta nel terremoto di Port Au Prince. Era rimasta intrappolata nella sua casa ed è spirata prima di poter essere salvata. Come molte altre che sono fuggite dalla povertà e dalla repressione ha lasciato Haiti negli anni ‘70. Dopo una vita politicamente attiva nella diaspora haitiana Myriam è ritornata ad Haiti con la sua giovane famiglia nel 1986. Sia come attivista politica sia come professionista ha continuato a impegnarsi nel processo di cambiamento sociale e politico di Haiti. Myriam è anche autrice di pubblicazioni sui temi dei diritti delle donne, la razza e il genere. Femminista radicale si è impegnata sul tema della violenza di genere e ha lottato contro la cultura dello stupro evidenziando come tradizioni e costumi ma anche comportamenti istituzionali, politici e sociali creano l’humus che autorizza e legittima la violenza sulle donne. Myriam fu promotrice insieme alla ministra dell’apertura della prima Haiti Sorority Safe House (casa protetta della sorellanza di Haiti) per le donne che hanno subito violenza.


Magalie Marcelin

attrice e avvocata, fondò Kay Famn, organizzazione per i diritti delle donne che fornisce rifugio e offre microcredito alle donne sopravvissute alla violenza domestica. Marcelin era appassionata al suo lavoro come sostenitrice di campagne in cui richiamava l’attenzione sulla disuguaglianza e il pregiudizio che le donne affrontano quotidianamante nelle loro comunità. Gli adesivi delle sue campagne avevano l’immagine di un tamburo, che richiama il simbolo della lotta contro la schiavitù ad Haiti.


Anne Marie Coriolan

consulente per il ministero per i diritti delle donne, ha fondato l’organizzazione di patrocinio Solidarité Fanm Ayisyen (Solidarity with Haitian Women SOFA). Come organizzatrice politica Coriolan era leader di un movimento che mirava a portare lo stupro in primo piano nei tribunali haitiani. Prima della lotta portata avanti da lei e dalle altre attiviste lo stupro era un crimine passionale. La figlia di Coriolan, Wani Thelusmon Coriolan, ha detto di sua madre: “Amava il suo Paese e non ha mai smesso di credere in Haiti. Diceva che quando hai un sogno devi lottare per realizzarlo. Voleva che le donne avessero uguali diritti, voleva che le donne camminassero a testa alta.”

23 gennaio 2010

II 25 gennaio concerto di musica tradizionale iraniana a Bologna

Cliccando sull'immagine i dettagli dell'iniziativa

Le donne bloccheranno il cancello di una fabbrica di armi nucleari a 80 km da Londra


IL GRANDE BLOCCO: ALDERMASTON 15 FEBBRAIO 2010

Il Cancello Delle Donne




Manca solo un mese! Il piano è di impedire il lavoro sulla prevista nuova testata del Regno Unito per il sistema missilistico nucleare Trident, chiudendo simultaneamente tutti i sette cancelli dell’Atomic Weapons Establishment (AWE) di Aldermaston. Questo è un invito a venire a Aldermaston, nel Berkshire rurale, per condividere una azione di donne come parte del Grande Blocco.

Chi organizza? Il Grande Blocco è organizzato da Trident Ploughshares e sostenuto da CND, Aldermaston Women’s Peace Camp (AWPC) e altri gruppi. Il blocco del cancello delle donne è organizzato da donne di AWPC, Donne in Nero contro la guerra, Women’s International League for Peace and Freedom, Donne contro la NATO e London Feminist Network. Noi, insieme agli altri gruppi stiamo già mobilitando le nostre aderenti. Speriamo che nelle prossime poche settimane molti altri gruppi e singole donne si impegneranno per unirsi al blocco.

Quale è l’obiettivo? Come donne, il nostro piano è di chiudere, per tutto il tempo che riusciamo, uno dei cancelli di AWE. Noto come ‘Home Office Gate’, è una delle due entrate usate dal 50% dei lavoratori di Aldermaston. Altri cancelli saranno bloccati da gruppi di uomini e donne di Scozia, Galles, Inghilterra e altri paesi, da studenti, ciclisti e gruppi di ‘fede’.

Perché Aldermaston? Aldermaston ospita le strutture che producono le testate nucleari britanniche. Il governo del Regno Unito programma di spendere un miliardo di sterline all’anno per i prossimi tre anni nella modernizzazione delle sue pericolose, illegali armi di distruzione di massa. Greenpeace ha stimato in 97 miliardi di sterline il prezzo per il piano di rinnovo del sistema di armamento nucleare Trident su sottomarini fino all’anno 2050. Ma malgrado il massiccio lavoro di costruzione sulle strutture di prova, il progetto e la costruzione di nuove testate siano già molto avviati a Aldermaston, la decisione finale se andare avanti con le nuove testate non è ancora stata presa dal Parlamento. Il rinnovo dei Trident è politica attuale, ma non è irreversibile.

Perché adesso? Il blocco è pianificato per aver luogo tre mesi prima della conferenza di revisione del Trattato di Non-Proliferazione. La nuova amministrazione USA è un poco più impegnata alla cooperazione internazionale per ridurre gli arsenali nucleari rispetto a quella precedente. Qui in Britannia, con la presente crisi finanziaria che impone tagli nelle spese pubbliche, e con una elezione generale in arrivo, è un momento critico in cui abbiamo una possibilità di persuadere i politici a ripensarci. Intendiamo aiutare a convincere i partiti che spendere le scarse risorse sul Trident mentre si tagliano i servizi non conquisterà i voti.

Cosa devo fare? Questo è lasciato completamente a voi. C’è una parte da recitare per ciascuna. Il blocco inizierà alle 7 puntuali il mattino di lunedì 15 febbraio. Vogliamo iniziare il blocco con quante più donne è possibile che siedano davanti al cancello, per mostrare chiaramente l’opposizione delle donne ai piani britannici di costruire nuove armi nucleari. Potete stare sedute per molto o poco tempo come volete (se volete stare sedute per molto tempo, allora visitate per avere alcune idee). Abbiamo anche bisogno di donne che stiano intorno al blocco tenendo striscioni e cartelli per diffondere il nostro messaggio. Non dovete rischiare l’arresto: la polizia tipicamente dà dei preavvisi prima di arrestare qualcuno, preavvisi che daranno alle donne che non desiderano essere arrestate tutto il tempo di unirsi ai sostenitori a lato del blocco.

Pianificazione. Speriamo che il blocco sia efficace, nonviolento e sicuro. Ci sarà un sostegno coordinato a ogni cancello, con osservatori legali, trasporti dalla stazione di polizia per gli arrestati, collegamenti con la polizia, ecc. Per favore contattateci se siete interessate a dare una mano in ciascuno di questi ruoli.

Pensare al messaggio. Abbiamo deciso che i messaggi del Cancello delle Donne esprimeranno la nostra critica femminista delle armi atomiche e dei militari che le schierano, della irrazionale nozione di “sicurezza” del governo del Regno Unito e della NATO con le sue sempre crescenti ambizioni a testata nucleare. Vogliamo mettere a confronto tutto ciò con la mancanza di sostegno governativo alle donne che patiscono violenza - i tagli nel finanziamento ai centri di crisi per stupro, o la mancanza di fondi per i rifugi per le donne, o i livelli di condanna per stupro sempre più bassi. Vogliamo far sapere al governo cosa noi intendiamo per sicurezza. Come donne rifiuteremo la violenza in ogni aspetto della nostra vita, dalla casa alla strada, dalla nazione all’area internazionale. Diciamo no alla violenza - sia di pugni, stivali o coltelli, sia di fucili o aerei da combattimento - e un forte NO alle armi nucleari.

Portare il nostro messaggio a Aldermaston. Speriamo che ciascuna di voi porti il proprio cartello e decorazioni per il recinto con potenti messaggi, che facciate striscioni pieni di colori, portiate strumenti musicali e canzoni (e ogni altra magia per chiudere il “nostro” cancello).
COME UNIRVI… Se volete unirvi al blocco del Cancello delle Donne, sarebbe utile (anche se non essenziale) farcelo sapere in anticipo, contattando Andrée:
mailto: o Tel. 020 8248 0763.
Terremo un incontro di pianificazione per la nostra azione di donne in un luogo vicino dalle 17 della sera di domenica 14 febbraio. Potete stare anche la notte (solo posti sul pavimento - portate un tappetino e il sacco a pelo). Ci sarà un pasto caldo disponibile, portate cibo da condividere. Per favore contattate Andrée (come sopra) per prenotare uno spazio, e per entrare e altri dettagli.
Altrimenti, semplicemente arrivate un po’ prima delle 7 di lunedì mattina al cancello, con vestiti caldi e impermeabili, preparate per il buio, e per un tempo gelido o piovoso.
Informarsi. Troverete mappe, strade e indirizzi, dove lasciare l’auto, avvertimenti a proposito della sicurezza e dei rischi, considerazioni legali e un mucchio di altre informazioni utili su sul sito web di Trident Ploughshares. Per informazioni su AWE Aldermaston e risorse per l’azione visitate il sito web dell’Aldermaston Women’s Peace Camp(aign)

Perciò venite con noi e portate le vostre amiche. C’è un ruolo per ognuna in questa protesta diversa, creativa e importante. I numeri sono importanti.
Ogni donna conta.

12 Gennaio 2010

19 gennaio 2010

Campagna BDS in Italia


Boicottiamo l’economia di guerra israeliana


Sosteniamo il popolo palestinese



Cos'è la campagna BDS


Dal 2005 la società civile palestinese ha formulato una proposta unitaria ai movimenti internazionali di solidarietà:

1.individuare modalità di boicottaggio di prodotti israeliani,

2.disinvestimento da attività commerciali in Israele, sanzioni sullo Stato di Israele,

3.boicottaggio accademico o culturale degli israeliani che non prendono posizione contro l'occupazione e l'apartheid.

La campagna BDS raccoglie adesioni in tutto il mondo, con l'obiettivo di replicare i risultati ottenuti negli anni 80 dalla campagna di boicottaggio verso il Sudafrica contro l'apartheid. Informazioni sulle campagne e sulle varie esperienze internazionali sono sul sito della campagna globale BDS: www.bdsmovement.net

e sul sito della campagna PACBI per il boicottaggio delle sitituzioni accademiche e culturali israeliane: http://www.pacbi.org/


Cosa puoi fare


Il BDS è una strategia di resistenza e solidarietà che consente a persone da tutto il mondo e che provengono da diversi percorsi ed esperienze di dare un contributo effettivo per porre fine alle ingiustizie in Palestina.

Aderisci alla campagna, attivandoti come puoi e come meglio si presta al tuo contesto particolare, in base alle tue abilità e capacità o unendoti a gruppi che portano avanti la campagna.

Siti di informazione in Italia:

www.inventati.org/bds-pisa

http://www.boicottaisraele.it


A Bologna contatta: Donne in Nero

Email donneinnero.bo@gmail.com


16 gennaio 2010

Rapporto di Human Rights Watch sulla situazione delle donne afgane


Traduzione a cura del CISDA

In dicembre, l'ONG Human Rights Watch (HRW) ha pubblicato il suo rapporto sulla situazione delle donne afgane. La constatazione è sconvolgente. In seguito alla distruzione delle torri gemelle a New York, l’ 11 settembre 2001, l'opinione pubblica si è finalmente interessata alla condizione delle donne afghane sotto il regime taliban, fin qui criticato principalmente dalle associazioni femministe occidentali. Una vasta impresa umanitaria fu lanciata. Un'ondata mediatica, l'arrivo delle ONG, delle innumerevoli commissioni ed inchieste, delle elezioni, il fiume ininterrotto di progetti che incoraggiavano l'autonomia delle donne, sembravano presagire a un futuro più clemente. Dal 2002 al 2005, il progresso era tangibile, la scolarizzazione delle ragazze, soprattutto in città, l'accesso al lavoro ed un inizio di cambiamento delle mentalità lasciavano le loro impronte su una società esaurita dalla guerra. Tuttavia, un declino veloce è seguito.
HRW mette in discussione ogni politica di aiuto e di ricostruzione. Il rapporto passa in rassegna cinque aree emblematiche: l'aggressione delle donne nella sfera pubblica, la violenza, i matrimoni forzati, l'accesso alla giustizia e la scolarità secondaria delle ragazze. Se un quarto dei deputati è femminile, la loro parola è soffocata. Le deputate e le attiviste per i diritti umani che osano protestare sono minacciate. Gli assassini non sono rari, perpetrati dai taliban e dai loro alleati, destinati a frustrare ogni ambizione femminile. Il numero di donne nella funzione pubblica è in ribasso. L’impunità di questi crimini, assolutamente non perseguiti dal governo, aumenta l'effetto dissuasivo di questa campagna di violenza crescente.
Ciò che accade nel governo riflette una tendenza allargata. Secondo un'inchiesta realizzata nel 2008, l’ 87,2% delle donne di ogni età ha subito almeno un atto di brutalità fisica, sessuale, psicologica (1). La polizia ed i giudici non intervengono, stimando che ciò riguarda solo la sfera del privato. I problemi si regolano secondo il diritto consuetudinario pre-islamico, principale riferimento giuridico del paese, a discapito del diritto costituzionale e persino del diritto coranico. Meno del 15% delle vittime osa sporgere querela, per mancanza di fiducia nella giustizia dei tribunali.
Lo stupro non è convertito in azione penale, lo “zina”, il rapporto sessuale non regolamentato, o fuori dal matrimonio, è assimilato all'adulterio: è così che le vittime di stupro si ritrovano spesso dietro le sbarre, ed i violentatori in generale vengono assolti corrompendo i giudici. Più del 60% delle ragazze vengono sposate prima dei sedici anni di età, spesso senza il loro consenso. Le gravidanze precoci si susseguono, in un contesto di brutalità e di malnutrizione. La mortalità materno-infantile resta una delle più elevate del pianeta. La maggioranza delle ragazze non è scolarizzata ed il tasso di alfabetizzazione femminile si trova ad un livello bassissimo: di conseguenza nessuna politica di salute pubblica o di presa di coscienza dei diritti umani può essere efficace.
Come é arrivato l'Afghanistan a questo punto, dopo otto anni di presenza straniera, di aiuto finanziario massiccio - 8,9 miliardi di dollari, provenienti da sessanta paesi differenti - e di assistenza ininterrotta? La scala del Pnud localizza l'Afghanistan al numero 181 su 182, giusto prima del Niger. Ed il tasso di alfabetizzazione femminile è più basso con una media nazionale del 12,8% ed un tasso di quasi zero a Kandahar. Distrazione degli aiuti e corruzione sono certamente addebitabili a questo paese, diventato ormai un narco-stato, producendo più del 90% dell'oppio mondiale. Ma l'organizzazione degli aiuti umanitari ha la sua parte di responsabilità. Il suo scopo non è un semplice ricostruzione post-conflitto, ma un tentativo di creare infine un avatar della società mondializzata che renderebbe possibile lo sviluppo sul modello capitalista.Una riflessione sulla natura degli spazi privati e pubblico in Afghanistan non è stata intrapresa, e ciò ha invalidato sforzi considerevoli, screditati come un'ingerenza inaccettabile. In un contesto reazionario-patriarcale, i diritti delle donne non costituiscono un'emergenza e l'etica umanitaria esige difficilmente l'applicazione di una nozione universale dei diritti umani accettabile in Afghanistan.
Il campanello di allarme è suonato quando, nel maggio 2009, il presidente Karzaï fece adottare una legge che restringe i diritti delle donne sciite, di un livello di severità sconosciuta persino ai taliban. Malgrado la protesta internazionale, Karzai fece passare in silenzio una versione alleggerita, per assicurarsi il voto dei fondamentalisti sciiti. Per rimanere al potere, Hamid Karzaï non ha smesso di fare dei compromessi coi politici conservatori, a scapito delle donne. L'opposizione ai taliban non è fondata su dei motivi ideologici, ma su ragioni di strategia opportunista. Questo è successo perché i reazionari signori della guerra sostengono il governo contro l’insorgenza, e il governo deve quindi ricompensarli, sacrificando ogni misura in favore delle donne: l'abbietto trattamento di queste cittadine di serie B è il solo argomento che li trova tutti d’accordo. La mancanza di abilità delle agenzie umanitarie viene presentata come un tentativo per screditare l'onore virile.
Il fallimento e la vanificazione di un qualsiasi stato di diritto…

15 gennaio 2010

Commemorazione del primo anno della guerra di Gaza. Discorso di Nurit Peled


2-1-2010

Buona sera a tutti quelli che sono venuti per ricordare il primo anniversario del massacro di Gaza e per protestare contro l’atteggiamento compiaciuto che gli abitanti di questa città ostentano di fronte al lento e ininterrotto annientamento di Gaza e di tutta la Palestina .

Se fosse stato chiesto a dei bambini della scuola d’infanzia: “Cos’hai imparato a scuola quest’anno, mio caro ragazzino?”, avremmo potuto avere molti tipi di risposta.

Un bambino illuminato e critico avrebbe potuto rispondere: “Ho imparato che il sole brilla sempre e che il mandorlo fiorisce, e il macellaio uccide e non c’è nessuno a giudicarlo . E il bambino meno abituato a teorizzare avrebbe potuto rallegrarsi e dire: “Ho imparato come abbindolare gli Americani, ingannare i Palestinesi, uccidere Arabi, espellere famiglie dalle loro case e maledire chiunque mi dica che sono un marmocchio sporco quando ero un marmocchio sporco. E ho imparato che il popolo ebraico vive e che anche Gilad Shalit vive. Ancora” . E il ragazzino, neoimmigrato, che aspira terribilmente a integrarsi e a far parte della società avrebbe potuto dire: “Ho imparato chi odiare, ho imparato che è necessario uccidere e su chi si dovrebbe sputare, e sono sempre pronto a fare la mia parte ogni volta che me lo si chieda”. Il bambino sionista religioso, che frequenta le scuole d’infanzia ben recintate e custodite delle colonie potrebbe dire: “Ho imparato ad essere un buon sionista, ad amare il paese, a morire e a uccidere per il suo bene, a cacciarne gli invasori, a uccidere i loro figli, a distruggere le loro case e a non dimenticare mai che in ogni generazione sorgono dei persecutori per annientarci e che tutti i gentili sono uguali e che sono tutti antisemiti che devono essere annientati. E la cosa più importante è che il sole continua a brillare e il mandorlo a fiorire e che ben presto andremo a piantare di tutto sulle montagne di Samaria e Giudea e a proteggere gli alberelli contro la mandria di montoni che ha invaso il nostro paese durante i 2000 anni in cui non siamo stati lì a custodirlo”.

L’anno scorso i nostri figli hanno appreso che uccidere un non-ebreo, qualunque sia la sua età, è un comandamento (di Dio) importante. L’hanno imparato non solo dai rabbini ma anche dai soldati che si vantano continuamente di quel che hanno fatto. Ciò è stato ben espresso da Damian Kirilik, quando la polizia l’ha arrestato e l’ha accusato di aver assassinato tutta la famiglia Oshrenko . Con grande freddezza, egli ha chiesto agli agenti di polizia perché facessero tante storie per un omicidio di bambini. Damian Kirilik è un nuovo immigrato che non comprende le sfumature e i sofismi del comandamento dei rabbini di uccidere figli dei gentili. Ma questo assassino venuto da fuori aveva compreso l’idea generale: era arrivato in un luogo dove l’omicidio di bambini è considerato con molta leggerezza.

I nostri figli hanno imparato quest’anno che tutte le qualità ripugnanti che gli antisemiti attribuiscono agli ebrei sono in realtà evidenti tra i nostri dirigenti: frode e inganno, avidità e omicidio di bambini. Mentre è accusato di commercio di organi per trapianti, imperturbabilmente, il governo di Israele è impegnato nel commercio di esseri umani interi – per il momento. Si può congetturare che in futuro per molti anni, quando molte vetture porteranno sul loro paraurti l’adesivo "Gil'ad - born to be free" , [Gilad nato per essere libero], i capitani della nave pirata conosciuta come Israele continueranno le loro macchinazioni e a mercanteggiare ancora su quanti chili di carne ebraica – probabilmente in calo - potrebbero essere scambiati con quanti di carne palestinese, che non è più nemmeno tutto quel che era, dato che si è saputo dai media la notizia relativa al furto di pelle e cornee nel Centro di medicina legale di Abu Kabir .

E continueranno a uccidere in nome di Gilad e ad affamare e soffocare in nome di Gilad e a distruggere il popolo palestinese lentamente ma sicuramente, e a incoraggiare così il diffondersi di “cattive erbe” palestinesi che legittimano sempre un massacro senza fine.

Come in ogni società marcia e corrotta, la parola “valori” ritorna sempre in ogni discorso di ogni politico, soprattutto i valori desiderati, i valori del sionismo e i valori dell’ebraismo e i valori delle forze armate israeliane. I valori del sionismo li abbiamo visti quest’anno gloriosi durante l’espulsione di famiglie dalla loro casa a Sheikh Jarrah. I valori della democrazia e dell’autorità della legge si manifestano presso Palestinesi sospettati di azioni violente e assassinati extra-giudizialmente nella loro casa, davanti ai loro figli, mentre terroristi ebrei godono della piena indulgenza del sistema giudiziario.

Ecco cosa imparano i nostri figli nello stato ebraico democratico. E perché stupirsi dello “choc” manifestato di fronte alla violenza nelle scuole e nei locali notturni, nelle vie e sulle strade? Dopo tutto, questa violenza non è nient’altro che la messa in pratica dei valori delle forze armate israeliane, un corso di addestramento elementare verso le attività e le operazioni che attendono questi giovani. E’ il modo per questi giovani di mostrare che hanno appreso qualcosa dai loro genitori e fratelli maggiori, dai loro insegnanti e guide. L’unico problema che apparentemente disturba le autorità preposte all’educazione e all’applicazione della legge è che non ci sono Palestinesi nelle scuole ebraiche e nei locali notturni ebraici e nelle vie ebraiche. A causa della loro assenza, i giovani ebrei rivolgono la loro violenza gli uni contro gli altri – e questo non dovrebbe accadere, un ebreo non dovrebbe fare del male a un altro ebreo. La violenza dovrebbe essere disciplinata e regolata, guidata da un’obbedienza cieca alle leggi razziali, rivolta solamente e unicamente contro chi non è ebreo.

E noi, che manifestiamo ogni settimana, ogni mese, ad ogni massacro, ad ogni anniversario di massacro – qual è il nostro potere? Nessuno.

Il lutto e l’insuccesso sono il nostro destino in questo paese. Giovedì scorso, ci trovavamo tutti ai cancelli di Gaza, disciplinati e obbedienti alle condizioni poste dal permesso della polizia, felici di rivederci e di constatare che siamo ancora vivi a scandire forte i nostri slogan per un pubblico di poliziotti e soldati simili a robot, totalmente incapaci di capire cos’avevamo da dire. Ma noi non abbiamo abbattuto il muro. Non siamo nemmeno riusciti a salvare un solo bambino dall’epidémia di meningite che colpisce Gaza già da molti mesi.

Che faremo della nostra impotenza e del nostro fallimento? Che si può ancora fare riguardo ad un sistema educativo che esige dai suoi diplomati un’identificazione totale con dei guerriglieri ebrei che erano, prima del 1948, giustiziati dai Britannici, in quanto accusati di terrorismo – e nello stesso tempo un’identificazione totale con chi li giustiziava? Identificarsi con le vittime di Auschwitz e nello stesso tempo comportarsi con un’indifferenza crudele per le sofferenze di chiunque non appartenga alla nostra razza? Cosa possono fare quelli che ricercano la pace in un Paese guidato dall’esercito, le cui scuole sono infestate da criminali di guerra venuti per instillare il loro insegnamento, dove gli allievi sono obbligati a una settimana di esperienza premilitare a Gadna (squadroni della gioventù) e ascoltare i racconti eroici dei criminali del massacro di Gaza, sui quali si applicano tutti i mezzi possibili, psicologici, sociali ed educativi affinché facciano parte della macchina per uccidere?

Quelli sono i nostri figli e le nostre figlie – e noi non abbiamo accesso al sistema che guida le loro vite. Che spazio ci viene lasciato per instillare in loro uno o due dei nostri valori? Quali valori di bellezza e bontà possono essere inseriti in un tale apparato sofisticato di lavaggio del cervello e di distorsione della realià?

Sembra che l’unico valore che abbiamo ancora il potere e il modo di instillare sia il valore del rifiuto. Insegnare a dire di no. Insegnare ai nostri figli, che non sono ancora stati avvelenati, a resistere al lavaggio del cervelli, a rigettare i virus che si iniettano nei loro cervelli. E’ un compito duro, una fatica da Sisifo, ma è l’unico modo di riaffermare la nostra umanità. Dire di no al male, no alla frode e all’inganno, no al traffico di esseri umani, no al razzismo che si diffonde qui come una striscia di polvere da sparo, un razzismo che non si ferma al checkpoint di Kalandia, né al checkpoint di Erez, ma si diffonde come un cancro ai vergognosi centri di integrazione degli immigrati, alle scuole che proclamano l’integrazione e praticano la segregazione, a tutte le culture e tutte le credenze in questo paese. Se non impariamo a rifiutare e a rigettare il male, a rifiutare le leggi e i regolamenti nefasti, ci ritroveremo a rifiutare e rigettare noi stessi, la nostra verità più intima. Dobbiamo rifiutare di sentirci una minoranza estinta, rifiutare la paura e il timore – e l’alienazione – che ci sono imposte, rifiutare di essere complici. Solo il rifiuto può salvarci dalla resa, dal fallimento, dalla disperazione. Noi siamo qui oggi, come una minoranza straniera e alienata, odiata e perseguitata. Ma insieme, con i nostri amici alla ricerca di pace aldilà del Muro, aldilà dei fili spinati, noi possiamo diventare una maggioranza. Solo il rifiuto di abdicare davanti ai muri e ai checkpoint può aprire i cancelli del nostro ghetto. Vedere infine che c’è un mondo fuori, che ci sono regioni all’intorno che il Fondo nazionale ebraico non ha distrutto. Che esiste una cultura e delle persone che vale la pena incontrare, conoscere e farsi amici, imparare da loro su questo luogo in cui viviamo come residenti stranieri e ricordarci che questo luogo può essere un luogo di una bellezza senza pari .

10 gennaio 2010

Uccisa a Ciudad Juárez Josefina Reyes militante per i diritti umani



Riceviamo da Marisela Ortiz

Protesta fuori della PGR per denunciare l'assassinio della compagna Josefina Reyes
7.1. 2010

Giovedì 7 gennaio si sono date appuntamento diverse organizzazioni e persone a titolo personale fuori della PGR, per protestare per l'assassinio della attivista Josefina Reyes, abitante del Valle de Juárez.
Josefina Reyes, una delle prime donne a denunciare gli abusi contro le donne e ad alzare la voce per denunciare la militarizzazione e la grande impunità che regna a Ciudad Juárez, è stata assassinata ll 3 gennaio, dopo aver ricevuto varie minacce di morte dall'esercito, per aver lottato nella difesa dei diritti umani.
E' per questo che attivisti/e del luogo si sono riuniti/e fuori della PGR, per ripudiare le politiche militariste del governo di Calderon, denunciando le responsabilità dello stato per la morte e la distruzione degli e delle abitanti di Juarez.
Con cartelli che dicevano: "Si dimettano Chavez e Calderón" , "dignità", "giustizia" "rispetto", volantinando e gridando "Juárez, Juárez non è una caserma" " Via l'esercito", le persone hanno manifestato la loro indignazione; certo non c'erano solo i/le manifestanti accorsi all'appuntamento, ma all'interno delle installazioni della PGR in modo minaccioso si trovavano poliziotti federali armati che vedevano la rabbia e l'impotenza di chi come noi giorno per giorno vive l'abuso dell'esercito e della polizia federale manovrata da un governo che si regge sull'odio, l'avidità e l'oblio del popolo.
In ricordo della compagna caduta, sabato 9 gennaio alle 8 am, si realizzerà una carovana di auto per il pantheon di Guadalupe, per lasciare dei fiori sulla sua tomba e tornare poi a Juárez terminando alla PGR di Ciudad Juárez.
Non dimentichiamo di manifestare contro lo stato d'assedio che si vive in questa città e che non termina con una sola manifestazione.
Non una, non uno di più!
Fuori i militari dalle strade!
Juarez, Juarez non è una caserma, via l'esercito!

Altre informazioni in www.griterio.org