29 marzo 2009

Una lista di donne per Bologna





Presentata a Bologna la lista di donne "Altra Città".


Dal programma


Una città da ri-pensare insieme.
Crediamo in un’amministrazione pubblica attenta ai bisogni di tutte le donne e gli uomini che vogliono una città da vivere e da partecipare con il desiderio e la consapevolezza di esserne protagoniste/i.

Per debellare gli stereotipi, i pregiudizi e le discriminazioni,
contro il maschilismo, il razzismo e la lesbo/trans/omofobia.

24 marzo 2009

INTERVENTO IN AULA DI UN MINUTO di Luisa Morgantini

APERTURA DELLA SESSIONE PLENARIA DEL PARLAMENTO EUROPEO

STRASBURGO, 23 MARZO 2009

Luisa Morgantini (GUE/NGL). " Signor Presidente, onorevoli colleghi, mentre a Gerusalemme Est continuano le demolizioni di centinaia di case palestinesi, e purtroppo alcuni soldati indossano magliette dove vi è l'immagine di una donna palestinese incinta presa come bersaglio con la scritta che dice "Con un colpo solo, due morti", anche la cultura palestinese è bersaglio della politica israeliana.
La cultura araba viene colpita. L'Autorità Palestinese ha scelto di fare insieme ai paesi arabi, Gerusalemme Est - non tutta Gerusalemme - capitale della cultura araba per il 2009. Israele ha arrestato 20 attivisti - tra di loro anche internazionali - che stavano semplicemente facendo un evento culturale. È un tentativo di distruggere qualsiasi presenza palestinese a Gerusalemme Est.
Mi chiedo quindi se la comunità internazionale, noi, intendiamo agire per fare in modo che Gerusalemme sia davvero una capitale condivisa, dove anche i Palestinesi e gli Arabi possano festeggiare la loro cultura e la loro storia. Facciamo in modo che ciò sia possibile.

Info: Luisa Morgantini + 348 39 21 465 ; office Office + 33 388 17 51 51; + 39 06 69 95 02 17
http://www.luisamorgantini.net/

19 marzo 2009

Appello del CISDA : Confermati, in gran segreto, i 20 anni a Parwez!


Ecco quanto ci scrive Yaqub, appena rientrato a Kabul dopo il suo giro europeo di incontri per denunciare il caso di suo fratello Parwez Kambakhsh.

“Sfortunatamente la Suprema Corte UN MESE FA ha confermato i 20 anni di prigione al giornalista afgano Sayed Parwez Kambakhsh, MA SENZA INFORMARNE NESSUNO!Hanno deliberato a porte chiuse, senza la presenza di Kambakhsh, nè del suo avvocato, nè della sua famiglia. Nessuno era in tribunale e nessuno è stato informato, l’abbiamo scoperto solo oggi, 8 marzo. Non c’è alcuna differenza tra la prima sentenza a Mazar, emessa in 4 minuti, e quella emessa dalla Suprema Corte. Speravamo che nella capitale ci fosse un po’ più di giustizia e legalità, almeno nel più alto livello del Sistema Giudiziario, ma la loro decisione, presa nel segreto più assoluto, denuncia prima di tutto CHE NON C’E’ GIUSTIZIA in Afghanistan, a nessun livello, ma soprattutto dimostra che HANNO PAURA, perché non c’è neppure il minimo motivo per trattenere Kambakhsh in prigione.
Spero che ora riusciate a capire qual è il livello della giustizia in Afghanistan.Si stanno facendo beffe del più elementare senso di umanità, dei diritti umani, della democrazia, della libertà di stampa per perseguire i loro scopi politici. Sono indifferenti a tutto… Sfortunatamente, questo sta succedendo, ed è tutto vero.
Adesso Kambakhsh è una vittima!!”
CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) e ISF (Information Safety Freedom) chiedono:
- Agli amici del PEN Italia, PEN della Svizzera Italiana, PEN Catalano, PEN di Copenhagen- Al Pen Club International- Ai giornalisti, ai direttori di Giornali, alle Televisioni, a tutte le Associazioni giornalistiche e per la libertà di Stampa- Ad Amnesty International, Human Rights Watch e alle Associazioni per i Diritti Umani- Alle Associazioni femministe- A tutte le Associazioni umanitarie nazionali ed internazionali- Ai Politici, parlamentari, ai rappresentanti istituzionalidi collegarsi al sito www.isfreedom.org/freekambakhsh.htm e avviare una grande campagna internazionale per la liberazione di Parwiz. Vi chiediamo di far girare il comunicato ai vostri contatti e di raccogliere adesioni SOLO da rappresentanti di organismi collettivi, non da singoli individui.
Grazie.
CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) – ISF (Information Safety Freedom)

GAZA, SGUARDI DI DONNE CAPACI DI VEDERE OLTRE di Luisa Morgantini




EMERGENZA GUERRA
PUBBLICATO DA PRIMADONNA – SPECIALE 8 MARZO
SUPPLEMENTO A RASSEGNA SINDACALE n. 9/2009-
"Disperata, indifesa, impaurita e preoccupata come le altre donne qui a Gaza": chi mi scrive è Laila, un'attivista che ora lavora all'Unrwa e si occupa dei programmi per la promozione della partecipazione delle donne alla vita politica e sociale nella Striscia. Lo fa nella notte del 13 gennaio mentre l'aggressione israeliana procedeva indisturbata, fino a lasciare dietro sé oltre 1300 morti, più di 300 i bambini, circa 5000 i feriti che continuano a morire per la violenza e l'embargo.
"Da casa posso vedere il Nord della Striscia e anche il mare che è pieno di navi da guerra israeliane" mi dice Laila, che a Gaza city vive in un palazzo di 11 piani vicino ad Al Shifa, un ospedale che più volte ho visitato con il cuore devastato di fronte a quella crudeltà che avrebbe potuto lasciar morire i bambini nati prematuri a causa della carenza del carburante per le incubatrici che li tenevano in vita, perché l'assedio che ben prima delle bombe distruggeva e puniva collettivamente un milione e mezzo di civili a Gaza, impediva l'accesso di rifornimenti, medicine e altri beni di prima necessità, creando una crisi umanitaria e sanitaria senza precedenti.
Laila e la sua famiglia sono stati risparmiati dall'operazione Piombo Fuso, dal fosforo bianco, dalle cluster bomb, dalle centinaia di freccette metalliche lanciate con violenza nell'impatto di micidiali ordigni e anche dalle bombe DIME che hanno lasciato migliaia di feriti palestinesi senza braccia, senza gambe, con disabilità permanenti, fisiche e psichiche, per sempre.
"Siamo fortunati" dice mentre tenta di descrivere l'orrore di quei giorni "ma essere bersagli della morte ogni secondo è un sentimento inimmaginabile. Un'esplosione ogni sette secondi. Da settimane nessuno dorme, rimaniamo in ascolto delle bombe e dei missili che sfiorano le nostre case e quelle dei nostri amici con l'impotenza di non poter fare niente. Quando c'è la corrente elettrica, accendiamo la radio e veniamo a sapere della gente che muore ovunque, di migliaia di persone, bambini, anziani, donne e uomini rimasti senza casa. Quando l'elettricità manca, al buio, ci stringiamo al lume delle candele".
Mentre scrive, la casa di Laila trema per una forte esplosione poco lontano. "Una vita orribile" aggiunge "Questa notte è la peggiore da sempre. Se chiudi gli occhi non puoi dormire dagli incubi. Una donna che ho ospitato è scoppiata a piangere chiedendomi scusa per il suo odore: provava vergogna perché non si era mai trovata nella condizione di non poter fare una doccia e ora era l'unica cosa che desiderava fare".
Da Gaza il grido di disperazione è sempre lo stesso. Oggi i valichi continuano ad essere aperti 'a singhiozzo' dalle Autorità Israeliane. Le Nazioni Unite e organizzazioni umanitarie denunciano che Israele impedisce l'ingresso di più del 50% del minimo fabbisogno quotidiano necessario alla popolazione stremata. Persino la pasta e i datteri vengono respinti ai valichi. I tunnel al confine egiziano, attraverso cui si svolgeva anche il contrabbando di armi, ma che alimentavano un'economia sommersa di sopravvivenza per la gente della Striscia da anni sotto embargo, sono stati e continuano ad essere bombardati.
Senza una soluzione politica che porti stabilità, sicurezza e pace, tutto l'aiuto umanitario del mondo non sarà mai sufficiente ad alleviare le sofferenze umane alle migliaia di feriti gravi -che nei casi più fortunati verranno curati negli ospedali all'estero, ma che per la gran parte si vedranno negare il permesso di uscire dalla Striscia per 'motivi di sicurezza'- così come ai circa 350.000 giovani che – secondo il Gaza Mental Health Program- convivranno per sempre con gravissime conseguenze psicologiche e traumi indelebili.
Incluse le donne che a Gaza sommano la tragedia della guerra e il dolore per i loro lutti, ad una progressiva restrizione delle libertà personali e politiche dovuta principalmente al deterioramento della situazione nei Territori Occupati a partire dal 2002 e alle operazioni militari israeliane ma anche alla crescita del potere religioso che tenta di fare arretrare, spesso riuscendoci, il lavoro di diverse associazioni femminili che molte volte ho incontrato e seguito nel loro lavoro quotidiano per l'emancipazione, l'empowerment, la partecipazione attiva alla resistenza non violenta per la creazione del proprio Stato e alla determinazione in una società che vogliono contribuire a creare, protagoniste delle loro vite e delle loro scelte.
La seconda Intifadah con la sua deriva militare ha in realtà fatto arretrare le battaglie e le conquiste che le donne palestinesi hanno realizzato in tanti anni, molte delle donne attive nella prima Intifadah si sono ritirate, la presenza delle donne con tanti lutti e tanti morti è tornata ad essere per molte, quella del lavoro di cura, curare i feriti, occuparsi dei prigionieri, cercare di sopravvivere.
A Gaza, con la presa del potere da parte di Hamas e con il blocco economico la situazione per le donne si fa peggiore, lo sanno molto bene le donne del Women Affair Center - tra cui anche Nayla Ayesh premiata nella valle d'Aosta come donna dell'anno con il suo centro e il lavoro di promozione della partecipazione delle donne- o il centro The Culture and Free Thought Association di Khan Yunis, fondato nella prima Intifadah dai diversi gruppi politici delle donne chiuso e poi riaperto da Hamas.
In tutto ciò anche noi europei e rappresentanti della Comunità Internazionale portiamo una clamorosa e bruciante responsabilità avendo contribuito a sprecare più di un'occasione per la pace.
Avremmo potuto aiutare Hamas ad essere pienamente nell'arena democratica, invece di non riconoscere il governo liberamente eletto, invece di boicottare la proposta dei Prigionieri Politici, in primis Marwan Barghouti, di un governo di unità nazionale con tutte le fazioni palestinesi, e invece di appoggiare questo assedio criminale contro i civili di Gaza. Avremmo potuto dare il nostro contributo e lavorare per l'unità politica e territoriale palestinese, invece di assecondare l'imperativo israeliano del dividi et impera alimentando la lacerante spaccatura Fatah e Hamas. E infine avremmo potuto sostenere con più forza tutte quelle donne e tutti quegli uomini, sia in Israele che in Palestina, che gridano al mondo che distruggere la logica del nemico e della vendetta è possibile oltre che necessario, che si può farlo solo garantendo diritti e dignità per tutte e tutti, solo ponendo fine all'occupazione militare israeliana, agli insediamenti e all'assedio di Gaza. Con l'acutizzazione del conflitto, con il muro che impedisce di vedersi, i rapporti si sono incrinati anche tra le donne e le reti che si erano costruite in questi anni. E' difficile che le donne di Ramallah possano raggiungere quelle donne di Tel Aviv o di Gerusalemme: i muri, i check point sono là a dividerle e anche le relazioni con le Donne in nero italiane non sono più così fitte come un tempo.
Va contro questa tendenza l'IWC International Women's Commission prima Commissione di palestinesi, israeliane e internazionali, della quale anch'io faccio parte, nata, sotto l'egida dell'UNIFEM, dalla risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza ONU, per la piena partecipazione delle donne nei negoziati, formali ed informali per una pace basata su principi di uguaglianza tra i generi, diritti umani delle donne, diritti umani internazionali e leggi umanitarie per la stabilità, democrazia e prosperità nell'intera regione, fuori dall'unilateralità e dal militarismo. Tra le palestinesi ci sono personalità come Hanan Ashrawi o Zahira Kamal, ma anche militanti come Hania Bitar o Nayla Aysh; tra le israeliane parlamentari come Naomi Chazan e militanti come Debbie Lerman e Molly Malekar: tutte insieme contro operazione Piombo fuso, così come già nella guerra del Libano, chiedevano con forza un durevole cessate il fuoco.
La nostra solidarietà alle donne palestinesi di Gaza e della Cisgiordania è essenziale, molte volte incontrandole ci hanno detto di quanto importante sia per loro non sentirsi sole e la loro forza è anche la nostra: le abbiamo viste nel Centro Al Mehwar a Beit Sahour –un centro bellissimo a Betlemme, finanziato anche dalla cooperazione italiana. Donne, che pur sotto occupazione militare riconoscono e lottano per la liberazione, donne che hanno subito violenza, principalmente domestica, che sono state abusate, ch hanno vissuto storie veramente terribili e tragiche, dallo stupro alla tortura, eppure continuano a lottare contro un sistema patriarcale e l' occupazione israeliana.
Abbiamo il dovere di denunciare ogni illegalità, l'occupazione militare, il muro d'Apartheid che confisca le terre in Cisgiordania e divide Palestinesi da Palestinesi, l'espansione coloniale. E al tempo stesso abbiamo la responsabilità di sostenere le donne di Gaza e i loro diritti, denunciando con capacità di critica e onestà intellettuale ogni politica repressiva o patriarcale venga essa da Hamas o da Fatah.
Dobbiamo farlo insieme, come donne cittadine del mondo, per il futuro di Gaza e di ragazze come Amira, 15 anni, che a Tel al-Hawa ha vissuto i giorni più duri di Gaza City e oggi è in un letto d'ospedale con una gamba ingessata e tenuta insieme da un chiodo d'acciaio conficcato in profondità nella carne. Per molti giorni dopo l'operazione Amira non ha parlato e ora lo fa solo con un sospiro. Nel suo passato ci sono ricordi atroci: padre e fratello e sorella adolescenti uccisi dalle bombe sotto i suoi occhi e lei che per tre giorni rimane sola, ferita e semi-cosciente, prima di poter finalmente essere salvata. Nel suo futuro c'è una lunga convalescenza, molte altre operazioni, mesi di riabilitazione e cure psichiatriche, ma il suo sogno è di diventare avvocato e "portare un giorno gli Israeliani in tribunale perché rispondano dei crimini che hanno commesso". Spero che Amira riesca e sia in compagnia di una giovane collega israeliana, unite, come tante donne in Palestina e Israele, nella ricerca della verità e della giustizia: il mondo e la pace hanno bisogno degli sguardi di queste donne capaci di vedere oltre.
* Vice Presidente del Parlamento Europeo

4 marzo 2009

Manifestazione Notturna Contro la Violenza sulle Donne - 7 Marzo 2009



LA VIOLENZA SULLE DONNE NON È UNA QUESTIONE DI ORDINE PUBBLICO È UN PROBLEMA “CULTURALE” SOCIALE ED IN SOSTANZA POLITICO
La violenza sulle donne è la 1° causa di morte e di invalidità permanente per le donne fra i 14 ed i 66 anni in Europa, ciò nonostante siamo convinte che la violenza non sia il nostro destino. Per questo vogliamo combatterla alle radici prima che si manifesti, nelle strade ma soprattutto nelle case dove ha la sua espressione più continuativa e massiccia e con l’aiuto della scuola luogo di formazione per tutte e tutti. Denunciamo l’uso e l’abuso del corpo della donna sempre esposto, disponibile e lascivo, tanto nei media quanto nella pubblicità che genera la “cultura” dello stupro. Quello che prima era silenzio sulle violenze ora che con l’aumento delle denunce non può più essere tale, diventa strumentalizzazione. Tutti parlano e barattano interessi politici sui nostri corpi.
Rifiutiamo qualsiasi provvedimento in chiave razzista e autoritaria fatto in nostro
nome. Per noi la violenza è “solo” maschile e non dipende dal passaporto di chi la agisce. Ci ripugna la logica violenta tanto degli stupratori quanto delle ronde dei giustizieri. Per noi una strada è sicura quando è piena di donne.
Rifiutiamo la logica della paura ed affermiamo la nostra libertà! Per bloccare la violenza, crediamo nella solidarietà fra donne e lesbiche, nella denuncia dei maschi violenti, e nella necessità di dotarci di strumenti per l’autodifesa.
PRENDIAMO INSIEME PAROLA PUBBLICA DICIAMO NO ALLA VIOLENZA MASCHILE
SABATO 7 MARZO’09
CORTEO NOTTURNO DI DONNE E LESBICHE

CONCENTRAMENTO ALLE H.20 IN PIAZZA DELL’UNITÀ
ASSEMBLEA CITTADINA DI DONNE E LESBICHE (BOLOGNA)

La puntata di Presa Diretta dell'8 marzo sarà dedicata a Gaza

Assolutamente da non perdere! La puntata di PRESA DIRETTA - il programma di Riccardo Iacona - prevista per domenica 8 marzo alle 21.30 e in onda su RAI TRE sarà dedicata a GAZA.
Verrà mandato in onda materiale inedito, gli inviati di PRESA DIRETTA sono entrati nella Striscia di Gaza, con la carovana di Crocevia e hanno anche incontrato Vittorio Arrigoni e gli altri attivisti di ISM.
Segnalazione di Luisa Morgantini

LIbertà e Giustizia organizza a Modena una serata dedicata ad Anna Politkovskaja e Ilaria Alpi

Riceviamo da Libertà e Giustizia di Modena e volentieri pubblichiamo

Giovedì 05-03-2009 Anna (Politkovskaja) e Ilaria (Alpi) -
Cronache dal fronte
ore 20,30 Casa delle Culture via Wiligelmo 80
Programma:Letture del manifesto "Rompiamo il silenzio"
Letture da Anna Politkovskaja e Ilaria Alpia a cura di Caterina Lusuardi - attrice Introduce:Graziella Bertani, LeG Modena
Interviene:Roberto Scardova, giornalista RAI
Dibattito con contributi di:
Isa Ferraguti, presidente cooperativa Libera Stampa ed editrice di NOI DONNE
Rosa Frammartino, esperta in comunicazione
Fausto Gianelli, avvocato del gruppo Giuristi democratici
Caterina Liotti, Presidente del Centro Documentazione Donna di Modena
Miria Ronchetti, avvocato
Eleonora Selvi, DonnaTV
Immagini del documentario di Masha Novikova "Anna, seven years on the frontline"

3 marzo 2009

Appello del fratello del giornalista afghano condannato per aver scritto che uomo e donna sono uguali

«L'Italia aiuti mio fratello»
di Lorenzo Cremonesi
26 febbraio 2009 dal Corriere della Sera


È venuto in Italia per cercare di rilanciare l’attenzione sul caso del fratello giornalista in Afghanistan e condannato a vent’anni di carcere per aver sostenuto che le donne hanno gli stessi diritti degli uomini.
Il vostro Paese ha un dovere morale verso l’Afghanistan. Sin da dopo la guerra del 2001 l’Italia si è impegnata a finanziare la ricostruzione del sistema giuridico afghano spendendo tra l’altro decine di milioni di dollari. Ma come mai non fa nulla per fermare l’ingiustizia commessa contro Sayed?”, sostiene polemico Yaqub Parwez Kambakhsh (28 anni).
Una brutta storia. Nota in tutto il mondo. Ma che adesso sembra finita nel dimenticatoio. Il collasso del Paese Afghanistan appare dietro l’angolo. Non per nulla Barack Obama manda rinforzi, chiede aiuto agli alleati e alla Nato, mentre la minaccia talebana si allarga sino al Pakistan. E la vicenda di Sayed potrebbe diventare una delle tante, infinite tragedie personali destinate a perdersi nel nulla. Tutto comincia nel 2007, quando il 23enne Sayed, giornalista per i media di Mazar El Sharif (nel nord del Paese), denuncia provocatoriamente sul suo blog che i “mullah estremisti” hanno una lettura distorta del Corano. E si chiede:
“Se per l’Islam un uomo può avere quattro mogli, perché mai una donna non può avere quattro mariti?”.
Lui è un giovane reporter sconosciuto di provincia. Ma le sue affermazioni fanno scalpore, specie in questo Afghanistan in via di restaurazione religiosa e in pieno ritorno alla tradizione. Sayed viene arrestato, accusato di “blasfemia” e il 27 ottobre 2007 condannato a morte. Intervengo allora le associazioni umanitarie internazionali, si parla di lui sui media di tutto il mondo. Addirittura viene chiesto allo stesso presidente, Hamid Karzai, di intervenire per liberarlo. Ma Karzai temporeggia. “Non può pronunciarsi personalmente in difesa del giornalista. Karzai è in difficoltà, sta perdendo consensi. Teme di venire sconfitto alle elezioni presidenziali, che dovrebbero tenersi a fine agosto 2009. Ha bisogno del voto pashtun e del sostegno dei circoli religiosi. Solo dopo il voto potrebbe forse fare qualche cosa in difesa di Sayed”, spiegano i commentatori più attenti. La soluzione di compromesso è commutare la pena di morte in carcere. Passo che viene compiuto il primo ottobre 2008, quando la pena capitale viene trasformata in 20 anni di cella.
“Ma adesso. Tutto è fermo. Sayed soffre. Noi famigliari, colleghi, amici e avvocati temiamo che possa venire ucciso in carcere, magari avvelenato. Non sarebbe la prima volta”, spiega dunque Yaqub. E’ venuto qui a Milano ospite della Cisda, una associazione non governativa italiana che lavora tra la società civile afghana. Ha chiesto di ottenere un colloquio con rappresentanti del governo. E qualche giorno fa ha incontrato il sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica. Nei prossimi giorni visiterà altre città europee. Ma Yaqub appare ben poco soddisfatto della tappa italiana. “Mi sembra che le autorità italiane restino distanti. Timorose, non vogliono intervenire nei fatti interni al nostro Paese. Ma in questo modo facilitano il trionfo dell’ingiustizia. Gli ambienti più retrivi tra gli Imam afghani avranno la meglio. Occorre invece che si mobilitino per liberare subito Yaqub e segnalare che il nostro nuovo sistema giuridico garantisce l’individuo e la libertà”, si infervora il giovane.
......